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Fotografi veneziani | L'École de Venise
 
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Luigi Ferrigno
FOTOGRAFO LUIGI FERRIGNO

Nasce a Venezia nel 1935. La passione per la fotografia è decisamente precoce, tanto che nel 1957 diviene socio del circolo fotografico "La Gondola" collaborando da subito alla Prima Mostra Internazionale Biennale di Fotografia svoltasi appunto in quell'anno a Venezia.


 
 
Percorsi d'autore

 





Un obiettivo sui lavoratori

Ragazzini che addentano panini, uomini che soffiano dentro canne come se suonassero uno strumento musicale, altri che manipolano un globo luminoso con un gesto simile ad un inchino: se la lavorazione del vetro continua a destare meraviglia, ancor di più queste immagini inusuali e inedite, scattate da Luigi Ferrigno in due vetrerie muranesi negli anni tra il 1957 e il 1960. L'osservatore è colpito da visioni fuori dal tempo - una barca nella nebbia dell'alba che traghetta gli operai verso la fornace, il vagone ferroviario davanti la fondamenta, il battello che arriva dall'Istria carico di legna -, ma l'interesse di queste immagini è soprattutto nello "sguardo interno" e partecipe con il quale l'autore, egli stesso impiegato nell'azienda, ritrae lavoratori e lavoratrici del vetro nel luogo e tempo di lavoro, aggirandosi in mezzo a loro con la piccola Leica acquistata da Gianni Berengo Gardin.

Ferrigno cominciò ad appassionarsi alla fotografia e a frequentare il Circolo fotografico "La gondola" alla fine degli anni '50. Più che alla ricerca dell'immagine perfetta da esporre in qualche mostra, era interessato però al fotoreportage sociale, alla sequenza narrativa delle immagini per raccontare aspetti della vita vera della città. Per questo, assieme ad altri amici i cui nomi - Giuseppe "Bepi" Bruno, Berengo Gardin, Carlo Mantovani, Gigi Bacci, Paolo Magnifici - rimarranno legati alla storia della fotografia non solo veneziana -, fondò nel '62 il Guppo fotografico "Il ponte" e cominciò a ritrarre soggetti e ambienti di lavoro.

La mostra espone fotografie datate 1957, prese in una vetreria artistica di piccole dimensioni, accanto a quelle del 1960 scattate in una fabbrica di dimensioni più grandi, dove oltre alle lavorazioni artistiche tradizionali, come il vetro soffiato o lavorato a piastra, vi sono quelle industriali per la produzione di lampadari, articolate in diversi reparti.

Quando il proprietario della vetreria gli chiese delle foto pubblicitarie per far conoscere la fabbrica ai compratori, contemporaneamente Ferrigno realizzò queste foto, tutt'altro che pubblicitarie, rispondendo al suo personale interesse per il fotoreportage: una fotografia "artigianale" non priva di competenza tecnico-visiva.

Abbiamo così immagini che documentano ambienti ("antri fumosi e scuri con in mezzo allo stanzone il forno riparato da coprifuochi") e condizioni dei lavoratori nella fase intermedia tra la ristrutturazione degli anni '50 e la crisi dei '70, segnate da cicli di lotte, un tassello mancante che arricchisce la storia visiva dei vetrai muranesi.

La messa a fuoco infatti non è - come ci ha abituati l'archeologia industriale - su edifici e macchine, ma sui lavoratori: l'obiettivo li segue durante la lunga giornata, dal mattino presto (si iniziava alle 7,15) quando ancora assonnati viaggiano in vaporetto, ai momenti di lavoro e di pausa per consumare il pranzo. Ferrigno, che aveva iniziato ad andare in fabbrica molto giovane, è colpito in particolare dai ragazzini, "garzonetti" addetti a preparare gli strumenti per il maestro, e li coglie in diversi momenti del loro vissuto quotidiano: mentre lavorano, ma anche mentre mangiano e sonnecchiano (e chissà cosa sognano) durante la pausa, sdraiati su precari panchetti.

Nelle vetrerie artistiche tradizionali la squadra di lavoro è formata da persone di diversa età ed esperienza: maestro, serventi, garzoni e serventini, ai quali si aggiungono i forcellanti, addetti alla ricottura e tempera dei vetri, il composizioniere e il fonditore delle miscele. Non c'è una scuola apposita per apprendere l'arte, quindi si va al lavoro molto piccoli e si impara osservando e aiutando, a stretto contatto col maestro. Il Contratto collettivo nazionale per le industrie del vetro del '46 prevede il compimento del 14 anno per essere assunti come apprendisti, ma le fotografie documentano come, ancora nel '60, vi siano ragazzini di età inferiore, poco più che bambini.

Ci sono i gesti, i corpi e i volti delle operaie, ragazze giovani e qualcuna anche meno giovane, addette alle macchine delle rifiniture finali, a ricordare il lavoro delle donne, meno qualificato e meno pagato, sempre più presente nelle vetrerie in corrispondenza con l'introduzione delle macchine nel primo '900. Le vediamo levigare i bordi degli oggetti alla spianatrice o alla fascettatrice a mani nude, incuranti di avvelenamenti e ferite. Ci sono i gesti sapienti dei maestri vetrai che creano oggetti di vetro usando abilmente gli attrezzi. Condizioni e organizzazione del lavoro antiche convivono in queste immagini con indizi di modernità, come le pettinature alla moda delle giovani operaie che sfoggiano audaci cotonature, i ciuffi e le magliette a righe del ragazzi. Hanno il sapore dell'istantanea più che dell'inquadratura studiata, dove prevale l'esigenza narrativa alla ricerca dell'immagine sintetica. Ogni volto, ogni corpo, sono racconti in sé, del singolo lavoratore/trice, rinunciando a pretese di generalizzazioni e universalità, rifuggendo così anche all'estetizzazione del lavoro - di cui abbiamo eccellenti esempi nelle fotografie di Porto Marghera -, i cui elementi ricorrenti possono essere rintracciati nell'esasperazione del contrasto chiaroscurale, nel gigantismo delle macchine, nel rapporto prometeico uomo-macchina, nella evidenziata divisione dei ruoli. C'è invece la confusione operosa, il disordine produttivo di fabbriche semi-artigianali dove accanto a moderne macchine sopravvivono antiche lavorazioni, tratti resi in immagine attraverso scatti veloci, incuranti di tagliare mani, piedi e teste, di sfuocare in controluce, di slabbrare i corpi in sagome informi nel mosso, anziché fissarli col lampo della luce artificiale.

Si tratta di una prospettiva "altra", una memoria fotografica dei soggetti nella loro individualità, non uniformati nel gesto che asseconda la macchina, nel ritmo della catena di montaggio. Di fronte al loro compagno dotato di macchina fotografica questi lavoratori e lavoratrici si offrono con accondiscendenza e un certo divertimento, senza irrigidirsi in pose confacenti al ruolo e alla gerarchie di fabbrica. Ne risultano immagini lontane da quelle delle foto d'industria, in genere commissionate dai proprietari per fini propagandistici ed edificanti, che vogliono trasmettere un'idea di ordine e rigore e perciò sono ripulite da elementi disturbanti come gesti imprevisti, sorrisi, pose scomposte, torsi nudi. Racconta Ferrigno che per attenuare il caldo e la fatica in vetreria si cantava, si beveva acqua e menta (in ciotole ricavate da scarti di soffiati) e quando qualcuno si sentiva male lo mettevano su una carriola e lo portavano fuori: da cui l'espressione "el xe 'nda in cariola". La testimonianza orale è importante per conoscere ciò che le immagini non dicono: l'odore, il calore, la fatica, la pesantezza dello straordinario ben oltre le 8 ore, l'aria bollente che brucia i polmoni. Le foto parlano dei luoghi, degli oggetti, dei gesti, dei corpi e delle loro relazioni, ci dicono come i soggetti si dispongono alla loro rappresentazione e memoria visiva.

Queste foto, riemerse quasi per caso dal cassetto nel quale sono state tenute per più di 40 anni, sono dunque un documento prezioso, non solo per una storia delle vetrerie muranesi, ma anche per la memoria sociale della Venezia novecentesca, il cui volto industriale e operaio viene spesso oscurata, che la fotografia si dimostra anche in questo caso essere strumento e linguaggio coerente per rappresentare. Esse testimoniano anche la volontà di sperimentazione e la vitalità culturale di fotografi che usano il mezzo non per vendere una Venezia da cartolina, ma per indagare i vari aspetti della sua contraddittoria realtà.

Venezia, maggio 2009 
Maria Teresa Sega 

Esposizione giugno 2009 presso Casa della memoria e della storia del Novecento veneziano - Villa Hériot, Giudecca





 

Organizzazione data creazione: 3 luglio 2012

 
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